domenica 13 maggio 2012

Morte di un poeta

Quando lo incontrò ebbe la stessa impressione che aveva chiunque incrociasse il proprio cammino con lui, uno spiantato, che viveva alla giornata, nella nullafacenza. Non escludo che una definizione simile non fosse sbagliata, ma, si sa, alle volte andare più a fondo nelle questioni poteva rivelare bellezze insperate.

Capita di rado di incrociare una storia che, per quanto di breve durata, riesca a cambiare ogni evento che seguirà quell'incontro, questo 18 lo sapeva e certo la sua scarsa inclinazione alla ricerca di nuove relazioni umane non aiutava. Ma erano lì, soli come i papaveri rossi che crescono lungo la ferrovia, circondati da tutto. La pioggia era di quelle fini e taglienti che ti bagna in profondità ed il suo ombrello era abbastanza grande per accoglierli entrambi. I capelli neri ed incolti si incollavano sul viso rendendolo come incrinato, triste.
In fondo non ci devo parlare per forza se gli faccio spazio sotto l'ombrello, pensò.

Scusami, vuoi ripararti qui sotto? Il pullman ci metterà un bel po' prima di arrivare.

Oh no, grazie. Stiamo parlando.

Non so spiegare come quel breve scambio di battute, all'insegna del nonsense, avesse potuto dare il via a uno dei più decisivi incontri della vita di 18 ed in fondo non è questo quello che conta davvero, il giorno dopo uno dei due sarebbe morto. Il giorno dopo sarebbe rimasto, indelebile, solo il messaggio. 31 era un poeta ed un poeta sa sempre decidere quando morire, aveva scelto quel giorno e niente poteva cambiarlo.

La sua poesia non era scritta, la sua poesia era nell'incessante ricerca di un modo di lasciare qualcosa che resistesse anche solo 5 minuti al vento del passato. Quella ricerca era diventata il suo abisso, un abisso dal quale adorava nutrirsi, senza sosta, facendosi trascinare in posti lontani che la gente che gli scorreva intorno non poteva vedere, non voleva capire. Per questo era evitato dai più, nonostante un aspetto non sgradevole, trasandato si, ma non sgradevole, non più di un qualunque giovane presunto alternativo che si poteva trovare in una qualunque città. Lo evitavi perché è così che istintivamente ti comporti verso qualcosa che non capisci e nel suo caso emanava una magnetica felicità che di certo non sapevi spiegare. Uno così, che viveva in equilibrio sui bordi della società, rifiutando con inconsapevole cocciutaggine ogni costrutto artificioso che la società aveva imposto dalla metà dell'ottocento a questa parte, non poteva essere felice, non poteva avere la nostra felicità. Era una persona che si crogiolava nel profondo abisso dei propri pensieri e che il più delle volte in cui apriva bocca lo faceva per parlare a se stesso, al vento, alla pioggia, ad un lampione o ad un rifiuto caduto fuori da un cestino, sfuggendo al proprio destino. Dunque era sorprendente come una persona così, per così dire, chiusa in un mondo esterno a quello in cui viviamo, riuscisse ad essere così trasparente alla vista. Un rapido scambio di battute, tanto bastò perché 18 sapesse con sufficiente profondità chi aveva incontrato, tanto bastò ad entrambi per instaurare, quella sera e solo per quella sera visto come è finita poi, una sincera amicizia. Parlarono molto, sorseggiando ognuno il proprio intruglio alcolico preferito, molto diversi anche in questo. 31  nella vita voleva esagerare, sempre, non importa in cosa, ma non voleva intraprendere niente senza la consapevolezza che avrebbe esagerato, arrivando al limite estremo delle sue azioni e dei suoi pensieri. Solo così, diceva, riusciva a combattere l'opprimente futilità delle cose: esagerare, sempre, anche nella moderazione, anche nella banalità se necessario. Certo, se si rendeva necessario troppo spesso avresti avuto lo stesso peso nella storia dell'umanità di un tubetto di colla stick impiegato per rinforzare un ponte già solido, ma non tutti avevano, come lui, l'ossessione di lasciare qualcosa dietro di sé.
Non lo sentì mai lamentarsi, in tutta la sera. La sua tequila faceva schifo, glielo si leggeva negli occhi, ma anche di questo non si lamentò, si limitò a cambiare intruglio, cercandone uno più schietto, che sapesse prendergli a schiaffi il cuore. Non si lamentò della politica, non si lamentò dell'economia, non si lamentò di una deriva della società che portava la cultura ad essere sempre più solo un arma per farsi una inconsueta scopata. Non per ignoranza, ma per rifiuto, non aveva bisogno di struttura nella sua vita e probabilmente era convinto che la struttura fosse necessaria solo quando ci si dimentica la genuinità dell'emozione e dell'animo umano. Aveva anche una profonda cultura, fatta di esperienze di vita e non solo di studio, lo si capiva perché, se un qualche genere di conoscenza doveva emergere nel discorso, non emergeva mai in maniera didascalica, mai innaturale. La sudava insieme ai fumi della tequila, mentre ti parlava, la cultura dico. Non aveva mai perso un attimo a lamentarsi, lasciandosi molto più tempo per pensare, molto più tempo per agire, fallendo il più delle volte e sapendo apprezzare ogni singolo fallimento come sincera espressione della sua libertà.

Avevano finito da bere e ognuno di loro si godeva il tenue sfrigolio che solo la carta di una sigaretta appena incendiata sapeva produrre. 
Non mi resta un ultimo messaggio da lasciarti, disse 31 all'improvviso gettando tra mille lapilli la sigaretta in mezzo ad una curva, vivere è per la maggior parte della gente un furibondo susseguirsi di cose superflue, finalizzato al produrre altri individui che portino avanti il superfluo. Per quei pochi, in cui ho l'arroganza di includermi, che hanno capito questo semplice concetto la vita si riduce ad una battaglia sempre più estenuante contro un mondo dentro se stessi fino a trovare una felicità che non sanno descrivere e che dunque non possono donare a quel mondo da cui sono scappati. Ecco, quella è la fine del viaggio, lo è in maniera così lampante che si decide semplicemente di spegnersi. Ti ringrazio tanto di avermi saputo ascoltare, hai fatto il tuo primo passo da solo, questo ti causerà sì dei problemi, ma ti piaceranno.

Furono le sue ultime parole, si spense, come aveva detto, come aveva voluto. Una macchina sbandava più in là, recuperando con fastidioso stridore l'aderenza perduta, e lui si spense guardandola, seduto appoggiato ad un muro scrostato qualunque, guardandola in lontananza. Con gli occhi aperti, il gomito appoggiato sul ginocchio, un piccolo sorriso che da alcuni punti di vista pareva un ghigno di soddisfazione verso un mondo che non era riuscito a fargli rispettare le regole nemmeno in quell'ultimo, anonimo, momento. Morì facendo il rumore che fanno le farfalle nel piatto frinire del vostro campo. 18 lo guardava, era così insensatamente uguale a voi, era quella persona che voi non sarete mai. Nessuno riuscì mai a capire cosa gli aveva spento la testa, rimase per tutti un anonimo matto, morto in quella fanghiglia di cui si ricoprono le grandi città quando piove.

Esagerare, sempre, questo non lo seppe scordare.

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