sabato 29 dicembre 2012

La prima volta che leggo un libro

Non è un post che vuol parlare del mio primo libro letto, che leggere mi è sempre piaciuto (ma questa è una frase quasi fatta). Non è nemmeno un post che vuol parlare delle sensazioni che provo quando leggo per la prima volta un libro, anche perché sono rare le volte in cui un libro lo leggo una seconda volta. In più non sono sicuro di poter generalizzare così le mie sensazioni. Vi voglio parlare del primo libro scritto da Guccini che ho letto.

Vedete, come dicevo, il leggere è un'attività che faccio volentieri e si potrebbe dire che il 70% del mio lavoro consiste nel leggere ma la gelida verità è che il leggere ricreativo, inteso come quell'ovattato momento in cui non leggo frasi in un inglese semplice finalizzate a spiegarmi la parte infinitamente piccola dell'universo, è un qualcosa che da qualche anno manca. Mi piace raccontarmi, come credo piaccia a tutti quelli in questa situazione (quella di uno che dacché ha imparato di libri ne ha divorati parecchi ma che ormai non si sa nemmeno orientare in libreria), che non leggo perché non ne ho il tempo. Tuttavia la verità, tanto gelida da farsi cocente è che sono tremendamente pigro. Con il feroce ticchettare dell'età che avanza mi sono imposto, da ben 8 giorni, di tornare come un tempo, ho cominciato da Lo Hobbit (ché ho visto il film, ben recensito qui) e, insomma, sono a 3 libri letti, mi sembra sia buono. Proprio di uno di questi vi voglio parlare: Malastagione, scritto da Guccini e Macchiavelli (non quello, sarebbe improbabile, stupidi) edito da Mondadori.

Non mi dilungherò a lungo su Guccini e quanto sia importante nella mia formazione politicoartisticomusicalecomportamentalumoristica, magari ci spendo qualche riga un altro giorno. Di libri suoi, proprio per quella profonda ammirazione che forse un po' traspare dalle mie parole, non ne avevo mai letti di proposito: un po' per paura che non fossero all'altezza della sua vita musicale, un po' per non cadere nell'idolatria cieca, per quanto giustificata. Questa è una riflessione che mi son sempre tenuto per me e quest'anno i miei amici, fantastici, han avuto l'idea azzeccata di regalarmene un paio. Idea che per ora (un libro e un quarto dopo) si è rivelata strepitosa. Ma ora mi accorgo di essermi comunque dilungato.

Dunque, con la sintesi che mai sarà padrona di queste pagine, il libro è un giallo e io i gialli non li ho mai apprezzati molto perché passo più tempo a risolverli che a leggere, ma ammetto che questo (non so quanto sia farina del suo sacco e quanto ci abbia messo le mani Loriano Macchiavelli) mi ha tenuto col naso tra le pagine. Sarà per quel nome in copertina che me l'ha fatto leggere tutto col tono di voce, la erre moscia, l'intonazione che son propri del Maestro, sarà perché il giallo del libro è un po' tutto un pretesto per parlare di una piccola parte di quel cancro italiano chiamato speculazione edilizia, sarà l'atmosfera da osterie di fuori porta (ma, ammettiamolo, ogni giorno potrei trovare una canzone diversa), sarà che ogni personaggio ti si forma davanti agli occhi pagina dopo pagina come una foto Polaroid. Oppure potrebbe essere che la storia di una montagna, con le sue vite dentro, che sa rifiutare la modernità dove questa si presenta con troppa aggressività la sento molto vicina, saranno che i dialoghi mi hanno più volte divertito, non lo so, è un libro che mi ha colpito. Ve lo raccomando dunque, perché difficilmente mi ero affezionato a dei personaggi dopo solo un giorno che li conoscevo. Insomma non voglio dirvi altro perché sta anche un po' a voi scoprirlo (e di recensioni non ne ho mica mai fatte, mi limito a parlar per qualche minuto).

A questo proposito, arrivando così alla fine parlando di cose negative, la corona della vergogna se la merita tutta Mondadori (ho deciso che quanto segue è sua responsabilità). Agli autori piace tenere qualche nome o qualche dettaglio nell'ombra, facendo agire il personaggio come se sapesse ma tenendo il lettore, per una volta, lontano dall'onniscienza. Ebbene, Mondadori, tra il retro di copertina, l'elenco dei personaggi in ordine di apparizione in seconda pagina, i titoli dei capitoli (molto brevi, la cosa mi piace molto) praticamente svela metà della storia e un buon terzo dell'intrigo. Io me ne sono accorto troppo tardi di questo gioco malato, ma questo non mi impedisce di avvertirvi da stare ben lontani da queste informazioni non richieste che non mi sembran proprio un'idea degli autori.

domenica 23 dicembre 2012

La vera storia non ancora scritta del Natale - Parte Terza.

 Qui la seconda parte

Aveva capito improvvisamente cosa fare, dopo anni in cui avvelenava i cuori della gente con illusioni non meno effimere degli oggetti che compravano perché li dominassero nella vita quotidiana. Quello sarebbe stato l'anno del riscatto, per lui e per tutti.
Il lavoro fu febbrile, mancavano pochi giorni e non poteva certo permettersi di sforare, rinunciò del tutto al nutrimento e col passare dei giorni diventava sempre più simile ad un punto interrogativo. Quando si accorse che la sua testa era diventata troppo piccola per tenere gli occhiali si rese conto che in quel regalo ci stava mettendo se stesso, tutto se stesso.

Lavorava febbrilmente, rinunciando anche a mangiare, consumandosi in quel suo desiderio. Combinava insieme cavi elettrici spessi come capelli, le sostanze magiche che aveva così pigramente somministrato nelle menti di tutti quelli senza desiderio e comprimeva tutto con marchingegni di ingegneristica precisione e con tutti i regali che aveva già finito nei mesi passati. Ogni giorno si incurvava sempre di più e il suo progetto prendeva sempre più forma. Non era così felice da anni, stava scomparendo, ma non era mai stato così felice. Pinze, tronchesi, chiave inglese, e passami la saldatrice Gloin, diceva. Si, forse stava impazzendo: Gloin era finito nella morte della cassa integrazione decenni prima.

Così il giorno si avvicinava, si trascinava stancamente, ma con vigore, tra il suo tavolo di lavoro ed il tetto dove teneva la sua auto già carica del carburante necessario. Il regalo era pronto e non sarebbe mai stato dimenticato. Con la situazione ambientale di quel tempo la notte ed il giorno erano uguali, nessuno dormiva mai veramente e questo gli faceva gioco: dovevano vederlo tutti.

Accensione, un rombo stanco ed intenso che non sentiva nessuno se non lui, la neve fuligginosa ovattava ogni suono e lui nel frastuono si allontanava da tutti, silenzioso come la notte perenne di quell'era. Tutto era lì dentro stipato, ogni regalo, il suo regalo. Saliva e piangeva, perché finalmente, con il suicidio del vecchio signor Natale ancora negli occhi, stava rimediando ad un sonno che certo non era stato solo suo, ma che sicuramente non aveva contrastato. Ad ogni metro si lasciava alle spalle la pigrizia di decenni, le menzogne di decenni, riprendendosi un ruolo che è sempre stato suo.

Il botto lo sentirono tutti, in mille lapilli la bomba esplose nel cielo, carica di un desiderio. Un urlo che per la prima volta superava i vetri dei palazzoni tutti uguali e finalmente squarciava il cielo. Io ero per strada e lo vidi, lo squarcio intendo, e dietro vidi un azzurro tenue, di quelli che avevo visto solo nei libri. Uno squarcio che risucchiò via il marcio che tutto permeava, uno squarcio che faceva entrare per un solo istante una calda luminosità, una sensazione mai sentita ma che comunque da sempre mancava. Un vecchio colpevole moriva nella sua bomba e regalava, per un solo istante, la visione del mondo come dovrebbe essere a tutti noi che non l'avevamo mai visto o l'avevamo dimenticato.

Ancora se ne parla di quella visione fugace, di quel singolo istante di speranza. Bastò quell'unico regalo per dare una nuova forza ad ognuno di noi, per tornare a combattere per quel singolo momento in cui si è intravisto il sole: era bastato ricordarsi della sua esistenza. I cuori di ognuno tornarono a schiudersi ed ogni anno si ricorda che quel giorno il mondo ha cominciato a provarci di nuovo. La strada sarà ancora lunga ma è da quel giorno che, visto cosa ha fatto scattare quel gesto, si dice di nuovo a ragion veduta Buon Natale.


Illustrazioni di Lucia Palombi, che ringrazio tanto per averle realizzate così bene e con così poco preavviso

sabato 22 dicembre 2012

La vera storia non ancora scritta del Natale - Parte Seconda.

Qui la prima parte

Ancora calci nel sedere, ma non poteva certo accettare di guadagnare talmente poco da andare in perdita solo raggiungemdo il posto di lavoro. Nella metropolitana alcuni bambini dicevano ai genitori cosa volevano per Natale, nessuno credeva più in lui, nemmeno lui. Del resto, c'era da ammetterlo, non si assomigliava nemmeno più. Stava accumulando regali per i bambini di tutto il mondo da mesi oramai, tutti stipati del suo minuscolo appartamento, al punto che il riscaldamento non gli serviva nemmeno più.
Meglio, pensava, ho più soldi a disposizione per bruciarli la notte di natale.
Una volta non gli bastava un piccolo appartamento per tenere tutti i regali, ma i pochi soldi e le bombe sulle scuole avevano tristemente facilitato lo stoccaggio.
I suoi ritorni a casa, vestito come un pagliaccio ad un funerale, erano quanto di più vicino c'era a quella che una volta si chiamava ricerca di mercato. Si avvicinava di soppiatto ai genitori con figli e origliava divertito i loro desideri. Quella parte per lui aveva ancora la giocosità di un tempo, anche se lo intristiva ricordarsi che non doveva più guardare dentro il cuore della gente per scoprire i loro desideri. In pratica ormai assecondava le bugie che raccontavano a loro stessi.

Era il tramonto, adorava guardarlo da giovane. Si chiedeva ancora, dopo anni che era celato dietro palazzoni ordinati e l'immancabile nube tossica fuligginosa, se fosse travolgente come ricordava, se sapesse risvegliare ancora le paure delle persone che una volta osservavano stupefatte il cerchio di fuoco morire dietro l'infinito. Quella nube si era portata via ogni emozione, compresa la paura: era rimasto solo un senso di inevitabilità.

Sarà meglio sbrigarsi, i regali non si fabbricano certo da soli.

Mancavano pochi passi al portone di casa quando vide il signor Natale, un arzillo vecchietto che abitava al piano terra praticamente da sempre e che non usciva da quel museo della memoria che era il suo appartamento da almeno 80 anni, affacciarsi e fare due passi nella strada coperta di neve nera. Il signor Natale era abbastanza anziano da ricordarsi di aver creduto in lui, ovviamente non ha mai capito che dietro al gracile, trasandato e disoccupato signore del 51-C si celasse la creatura magica che aveva arricchito i suoi sogni e desideri d'infanzia, ma una qualche connessione tra i due si era anche stabilità, dacché erano diventati vicini di casa. Gli piaceva incontrare il signor Natale, aveva ancora in corpo un cuore da leggere e fargli i regali era così molto facile. Non voleva altro che compagnia dunque ogni anno gli bastava lasciargli qualche allucinogeno nell'acqua per fargli passare ore e ore coi suoi parenti, attorno alla tavola imbandita che trasudava convivialità. Un regalo che il signor Natale riceveva inconsapevolmente e che lo rendeva tanto felice che oramai, in un'epoca di speranze assenti e disperazione, quasi tutto il suo lavoro si limitava a somministrare allucinogeni a tristi cuori senza più sogni.

Fece per salutarlo, sorpreso di vederlo in strada, ma gli si gelò il sangue. Per un attimo aveva di nuovo visto nel suo cuore, un cuore che per anni ha illuso con le sue sostanze di essere ancora puro, un cuore improvvisamente diventato consapevole della pochezza della propria esistenza, della solitudine: un cuore solo, l'ultimo che contenesse qualcosa. Era evidentemente troppa responsabilità per un povero vecchio.
Con un gesto deciso aprì la tuta protettiva, qualcuno disse di averlo visto sorridere ma lui sapeva che erano solo le sue guance ad essersi sciolte sotto la neve. Non era più il suo mondo da tempo, il dolore di averlo scoperto era stato troppo grande.

Ed ecco che la morte ci uccide senza lotta, si ricordò di aver letto una volta.

Fu quel suicidio a fargli prendere una decisione. Salì le scale con un vigore che mise a dura prova le sue coronarie ed iniziò ad ammassare tutti i regali preparati.


Qui la terza ed ultima parte

venerdì 21 dicembre 2012

La vera storia non ancora scritta del Natale - Parte prima.

Le metropoli sono sempre in qualche modo calde, anche negli inverni più rigidi emanano afa. C'è chi direbbe che da un punto di vista più emotivo sono sempre fredde, asettiche, ma lui sapeva bene che quella era l'impressione di chi la città non la viveva, non la ascoltava. Stava magro e curvo sul banco di lavoro mentre la neve fuligginosa si affollava sui vetri impolverati. I vicini di pianerottolo oramai si erano rassegnati ad aver accanto tanto abbandono psicofisico e anche il consueto minacciarsi si era in qualche modo rarefatto sul calendario.

Sarà che, con la fine dell'anno che si avvicina, avranno altre preoccupazioni che la mia porta marcia. Pensò.

La porta era marcia da quella volta che la chiusura stagna del palazzo si era danneggiata, la nube tossica aveva graffiato in profondità ogni cosa e ci vollero mesi prima che quelli del Pronto Soccorso Bonifiche rendessero nuovamente respirabile l'aria sulle scale. Tutti gli altri 189 condomini avevano sistemato i danni in poche ore, ma lui non si poteva permettere la spesa ed il suo appartamento si presentava come le dimore dei cattivi dei cartoni, con l'erba bruciata intorno, i fiori appassiti, il legno esausto. Non ha mai capito come avesse fatto il metallo della sua porta a marcire, ma è così che dicevano i vicini
infastiditi. Non aveva certo tempo di preoccuparsi del decoro di un pianerottolo che non vedevano altri che gli abitanti dei condominio: non ci si faceva visita nemmeno per le feste, la nuvola aveva inglobato anche quelle.

Lavorava ogni notte, dacché rientrava a casa quando il sole sarebbe dovuto sorgere. Il sole se lo ricordava bene, era uno dei pochi ricordi conservati gelosamente, il ricordo dei tempi in cui il suo corpo era grasso e forte, in cui quel periodo in cui la sua azienda era leader nel settore, in cui viveva, in sostanza, dei doni della gente. È sempre stato convinto che il declino sia iniziato quando le persone hanno sentito meno la mancanza di quella sensazione che da il sole sulla pelle, come la sensazione di sentire l'aria fredda sulla pelle.

Il declino. Quando il mondo si ammalò e lui con esso, quando iniziò a svuotarsi di ogni cosa che rendeva le persone un popolo, consumandosi dentro colonne di fumo sempre più denso, sommerso da oggetti sempre più superflui. Una così scarsa cura per ciò che ci circondava che quando ci siamo accorti del danno era oramai troppo tardi. Ora il suo corpo era stato consumato dagli anni e da qualche incidente. I sistemi di sicurezza si erano fatti più aggressivi per tener lontani gli affamati ancor prima che gli sciacalli e di certo la corporatura più minuta era consigliabile, però in realtà era un affanno residuo della riabilitazione per quell'incidente con la slitta di qualche anno fa. Doveva immaginarlo che le renne non sarebbero sopravvissute all'aria aperta.

Quell'incidente aveva condizionato tutto quello che è seguito, la sua schiena non è più stata dritta come un tempo, fare i fiocchi ai pacchi regalo era ormai un'impresa con 3 dita in meno e anche semplicemente costruire i desideri della gente era diventato difficile come se questi desideri fossero spariti per sempre. Senza contare che con le renne tutte morte e la slitta distrutta doveva lavorare tutto l'anno per permettersi il carburante che usava tutto in una notte. Lavorare era dura, vecchio e fragile com'era diventato raramente lo assumevano e tutti i mestieri che sapeva fare con perizia dopo migliaia di anni di pratica e perfezionamento venivano oramai svolti da macchinari scintillanti. Senza contare che non dormiva più e nessuno assumeva un dipendente con delle occhiaie fin sotto le narici, perennemente stanco per il lavoro certosino al chiaro di una vecchia lampadina a basso consumo energetico.

Era già mattino, chiuse gli occhi per immaginarsi un'alba, la neve fuligginosa si affollava ancora sulla finestra sempre più piccola, accantonò i cavetti e le varie cianfrusaglie, smise di fare i regali e si travestì da disoccupato. Indossava le mentite spoglie di una persona in ordine, la barba incolta non aiutava ma il rasoio l'avevano rubato i dipendenti del Pronto Soccorso Bonifiche e non ha mai avuto i soldi per ricomprarlo, ogni centesimo serviva per bruciare carburante e fare quello che doveva fare da migliaia di anni. Il cappio lo stringeva bene intorno al collo, così che la testa stesse dritta. Non era una cravatta, era un guinzaglio. Altre 18 ore a strisciare per quattro soldi, poi si tornava ai regali, operoso come i collaboratori morti di fame che non aveva mai pagato.


Qui la seconda parte

mercoledì 19 dicembre 2012

Dexter, troppa luce mette ombra

SPOILER ALERT - C'ho il vizio di stare particolarmente al passo con le serie tv che seguo, pertanto parlerò conoscendo tutto fino alla puntata di domenica 16, l'ultima della settima stagione, se siete indietro e continuate, beh, cazzi vostri. Ho però aspettato qualche giorno prima di pubblicare, apprezzatelo.

Scrivo questo all'indomani della fine della settima stagione di Dexter, che speravo fosse l'ultima e invece probabilmente sarà la penultima (si sappia che 8 è il massimo consentito per serie televisive di buona qualità, una regola che hanno imposto i Robinson e che Will & Grace hanno perfezionato). Negli anni Dexter ha avuto la forza di evolvere molto bene, direi esclusa la terza stagione, una serie tv che mi ha attirato fin dal principio per la scelta del soggetto e che in sette anni mi ha tenuto tra i suoi fedeli spettatori anche e soprattutto per come ogni personaggio si sia saputo cambiare ed adattare con la storia.

Dopo 2 stagioni di livello altissimo, una terza che voglio dimenticare, la quarta di ripresa, la quinta che arrivava a fondo nella tensione sullo spettatore e una sesta stagione biblica, pareva proprio che il nostro Dexter, scoperto finalmente dalla sorella per quello che è, si avvicinasse all'epilogo. Era la stagione in cui speravo nell'ingegno finale degli sceneggiatori, il lascito per cui li avrei ricordati. Invece no, scelgono la strada più facile facendo trionfare non senza difficoltà (difficoltà ben espressa, ho apprezzato) un amore fraterno che porta alla tanto sperata, da me almeno, eliminazione fisica di un personaggio poco interessante quale può essere Maria LaGuerta in un finale che più che scontato è poco credibile. Nella prossima stagione, infatti, troverò poco credibile un qualunque sostegno alla farsa tra fratello e sorella (come già era poco credibile in questa stagione).

Insomma, per essere un assassino che non cammina, scivola, senza mai lasciare una traccia, di errori ne ha commessi parecchi e quasi nessuno è dovuto all'evoluzione del lato umano del personaggio. Del resto il compito era duro, ma risulta alquanto artificioso andare a pescare eventi di 5 stagioni prima per sviluppare la trama.

Giusto per non dire solo cose negative vi rendo partecipi della mia soddisfazione di quanta naturalezza abbia la crescita di Dexter (Michael C. Hall, sempre ottimo), che combatte e aiuta i propri demoni interiori ed espone con una finalmente sincera franchezza i propri sentimenti verso la sorella, spingendoli fino al masochismo. Tanta umanità in questo killer e devo dire molto ben rappresentata.

In conclusione direi che a fronte di una realizzazione sempre di buon livello (si vede che Showtime ci tiene), questa stagione è stata tirata per i capelli pur di arrivare ad un'ottava stagione che farà quello che doveva fare questa, con sulle spalle il peso in più di 12 puntate forzate e a tratti ripetitive come l'arrivo dell'ennesima bionda da limonarsi (mescolata con l'amico che ti capisce e accetta per quello che sei, insomma roba già vista). Se mi smentiranno saranno definitivamente entrati nell'Olimpo delle serie tv ma tutti sanno che questo blog è custode di grandi verità.

martedì 18 dicembre 2012

La ferita nel Paese

Oh. È tornato! Cioè, per non dare torto a questo blog non si candiderà mai e poi mai (si sa che i politici ci tengono a non pestare i piedi ai poteri veramente forti di questo universo) però di certo in questi giorni ha ritrovato il modo di dar sfogo al suo egocentrismo come ai bei tempi. Un paio di interviste (sta sera credo sia da Vespa) di quelle che piacciono a lui: silenziose e gaudenti come solo quella fine penna critica di Barbara D'Urso sa essere. Vorrei giusto fare una breve riflessione, posto che questo non cambia.

Quello che mi è saltato all'occhio, come a tutti, è la nuova vecchia promessa di voler togliere la tassa sulla prima casa, che 6 anni e mezzo fa si chiamava ICI e ora si chiama IMU. Stesse parole, stessa illusione di allora, scelta dei tempi diversa ma non meno perfetta. Però bisogna guardare un po' fuori dalla finestra, temo. Tolse l'ICI, vero, figata, meno tasse per tutti, per lo meno tutti quelli che possedevano una casa. E i soldi dell'ICI dove li hanno presi i Comuni? Da tutti i cittadini, ovviamente, un po' tagli, un po' risparmi (ma si sa che questi non sono azioni che ci vengono così spontanee), ma l'arrosto comunque a qualcuno lo devi prendere. Una manovra che ha messo in ginocchio i comuni e che ha portato alla necessità di introdurre la nuova tassa, che ora si chiama IMU.

Ma chi l'ha messa l'IMU? Monti e i tecnici.
Vero, ma tutti sanno o dovrebbero sapere che il governo, detto anche potere esecutivo, ha il solo compito di gestire l'ordine, i militari ed i servizi pubblici, le leggi le fa il parlamento, che c'ha il potere legislativo. Il Governo può fare una legge a forza, detto decreto legge, ma se non viene confermato dal Parlamento questo decade. Dunque è lì il problema del governo tecnico: il Parlamento è lo stesso. La storia, ma speriamo di no, un giorno si ricorderà di questo Parlamento e credo che l'unica cosa degna di memoria sia che è un Parlamento che ha votato che una minorenne marocchina che faceva spogliarelli per pagarsi l'estetista, attività che probabilmente serviva poi a finanziare la retta alla Bocconi, fosse la nipote di un dittatore egiziano.
Ma torniamo all'IMU, chi è che ha il partito più ampio (per altro aveva la maggioranza più ampia della storia ma è comunque riuscito a non governare) e dunque tutto il potere di cambiare le cose prima che queste accadano? Lui, Silvio, proprio lui. Ma allora com'è possibile che un uomo che da sempre gestisce il suo partito come gestisce i suoi camerieri abbia votato si ad una legge per promettere dopo qualche mese che la toglierà. Perché non l'ha tolta prima?

L'idea che le leggi si possano fare e disfare a seconda degli umori propri o delle paure popolari e che il parlamento in tutto ciò sia lo spettatore inerte alle sceneggiate di chi governa è la vera ferita profonda che ha lasciato Berlusconi a tutti noi. Per questo vivo nella speranza che Benigni faccia altre serate a leggere gli articoli della Costituzione che vadano oltre ai primi 12, fondamentali, giusto perché a quanto pare a scuola non si insegna più, io l'avevo studiata un pochetto, ma mi sa che le ore di religione cattolica sono più importanti. Sono disposto a sopportare quelli che si lamentano il giorno dopo ché mezzora di battute su Berlusconi su 2 ore e mezza hanno stancato (trovate un articolo con la stessa proporzione nella cronaca), o si lamentano che Benigni guadagni dei soldi per fare il suo lavoro, o si lamentano che Benigni guadagni troppo per fare il suo lavoro (ricordatevi che purtroppo la tv pubblica è un'azienda e ragiona da azienda, quindi se fa una cosa così è per guadagnare, la fortuna è che se lei guadagna guadagnamo tutti, se poi nel farlo ci ricorda una cosa così importante direi che ci guadagnamo di più) o che si lamentano che la gente si ricordi della Costituzione solo il giorno che la legge Benigni in tv (giusto, fastidioso, facciamo che non la leggiamo mai più). Poi ci son altre categorie che mi infastidiscono e che son disposto a sopportare il giorno dopo (tanto domani ve lo scordate) pur di ricordare a qualcuno perché è importante votare e soprattutto che cosa si vota con quel segno sulla scheda.

Insomma, ci vorrà tanto a smaltire il veleno di questi 20 anni, cerchiamo di affrontarlo con una certa consapevolezza almeno.

lunedì 17 dicembre 2012

La pronunciata inutilità di Twitter

Come scritto un paio di post fa, pochi di voi lo sapranno che oramai ho perso appeal, ma il vostro affezionatissimo ha aperto un account twitter con l'unico pubblicistico scopo di aprire queste eteree pagine dall'arial giustificato e sempre giustificabile ad utenti che non conoscono lo scrittore (o scrivente, meno pomposo) di persona. È passata una settimana e mi sento di fare qualche considerazione.

Senza smartphone, tuitter, non serve a niente. Ma non finisce qui: sapete bene che ho avversione verso tali strumenti costosi che necessitano di carezze tutto il tempo, ebbene direi che avere uno smartphone serve solo per usare tuitter.

A fronte di un'idea di fondo che potrebbe anche essere considerata buona, nella pratica direi che è il social network meno utile della storia, in un mondo in cui esiste già facebook. Molto più social, nelle intenzioni, di facebook ma in ogni caso inutile, troppo popolato, una persona sola non può gestire così tanti input, non può stare dietro a tutto, in questo il vecchio Mark ha visto bene nel prevedere un limite superiore al numero di amicizie consentite (sebbene sia di svariati ordini di grandezza sovrastimato).

Twitter è per chi si vuole godere il momento, ma un momento a caso, non certo uno in particolare. Chiaramente non ci si può mettere per ore a scorrere una pagina web per arrivare, al più, al cinguettio pubblicato un'ora prima, pertanto ci si accontenta di guardare quelli che ti si piazzano per caso davanti agli occhi. Il risultato finale è che alcuni rispondono, è vero, ma prevalentemente ci si limita, soddisfatti, a sussurrare nella confusione il proprio pensiero in 140 caratteri, nella mal riposta speranza che qualcuno lo legga prima che svanisca nel mare di speranzosi cinguettii di gente che non conosci e che, questo è sicuro, non vuoi conoscere.

Insomma twitter funziona divinamente per argomenti di nicchia, che interessano poche persone e, ammettiamolo, costringere le persone ad usare 140 caratteri per un argomento di nicchia è una pratica fascista.

Come punto finale, ma giusto perché iniziare con questo era troppo aggressivo, c'è che in una settimana ho ricevuto da twitter 3 lettori, di cui 1 sono io per provare il link e diciamo che tendo a catalogare come inutile una piattaforma che mi da meno lettori di google+ o del risultato di ricerca "cazzi e bambini".

In definitiva direi che Diaspora rimane il social network meglio riuscito (non ci entro da mesi): coniuga bene le qualità di facebook e twitter, il materiale che pubblichi rimane di tua proprietà e non ci sarà il malvagio Mark ad usarlo per strappare le unghie ai bambini e ti fa apprezzare uno strano senso di libertà che solo la versione alfa di un sito può farti apprezzare (si, non ci entro da allora). L'unico problema è che non c'è nessuno, cioè mancano giusto i 4 stronzi con cui parli sempre su facebook e sarebbe perfetto.

venerdì 14 dicembre 2012

Non è diventare grandi: è marcire

Quando ero piccolo era un momento meraviglioso. La città si faceva silenziosa, perfino il tram 4 ed il tram 1, che nella mia memoria passavano alternativamente ogni 11 minuti, diventavano silenziosi, perfino le vibrazioni che trasmettevano alla casa si sentivano di meno.

Nevicava.

Un democratico velo su tutto, ogni auto identica a quella che la precede, tutti uguali, silenziosi, lenti.

Quando ero piccolo guardavo la neve cadere, speravo che continuasse ad esistere una volta toccato l'asfalto, assaporavo in anticipo l'istante in cui avrei lasciato segno del mio passaggio per la prima volta su quel tappeto scricchiolante.

Guardavo gli spazzaneve e gli uomini con le pale e io vedevo in loro il male, coloro che mi rubavano i sogni lasciandosi dietro quella pappetta nerastra mescolata al sale.

Il sale.

Il sale lo vedevo come il veleno per la fantasia e spargere il sale era inequivocabilmente la misura della stupidità umana.

Ecco, quest'anno la neve l'ho spazzata io, il sale l'ho messo io e solo a quel punto ho realizzato che non basta avere lo stesso piacere di sempre nel calpestare la neve e farla scricchiolare: si diventa grandi quando sei tu quello che porta via la fantasia di un ipotetico bambino.

Invecchiare fa schifo.
Se la gente invecchiano è per colpa dei gay che si sposano. Benedetto XVI.

giovedì 13 dicembre 2012

Il più classico dei minestroni

No, non sarà un'altra ode alla minestra, quella magari la tengo per le feste ma vi anticipo che il grande tentativo è inserire la minestra nel cenone di capodanno. Visto che oramai su queste pagine ci scrivo poco, quando ci torno provo a lanciarmi in grandi riflessioni sul senso della vita o sulle primarie della Lombardia di sabato 15, Di Stefano, però è come quando incontri di nuovo dei vecchi amici, prima devi rompere un po' il ghiaccio con del sano ciarlare.

Di Stefano.

Poi questo non è mai stato il blog che ti va a consigliare chi votare, quindi parlare delle primarie in Lombardia di sabato 15 era anche un modo un po' violento di tornare alla seriezza. Però posso sempre ricordarvi che costano solo 1 euro, non serve registrarsi e sono ben importanti per soffiar via la puzza celeste.

Volevo informarvi che ho incredibilmente superato i problemi emersi con la tesi, cosa che sapete già visto che secondo il KGB conosco personalmente il 95% di voi (tranne che per il post sui Pink Floyd, che ha rovinato tutte le mie preziose statistiche). Son dunque qui ad ostentare che alla fine di Marzo, dopo quelli che saranno 14 intensi mesi di ricerca (fa più figo chiamarla così), diventerò dottore un filo più serio.
14 mesi, prevalentemente di studio perché la fisica teorica è andata un sacco avanti dalla seconda metà degli anni 70 (più o meno dove si arriva con i corsi). Di Stefano. Dopo lo studio c'è stata la grande preparazione per capire cosa stava facendo da due anni la mia relatrice, alché sono arrivati i conti di riscaldamento e pian pianino si è delineata quella che sarà la mia tesi. Sostanzialmente un conto, nuovo, ma un conto. In realtà c'è la possibilità che da qui a febbraio si noti che c'è tutto un messaggio più profondo in quel conto, ma come quasi tutti oramai sanno, ho incontrato negli ultimi due mesi di deprimente lavoro una grande quantità di fossati di merda. Perché in fondo nelle intenzioni e nelle richieste di questa università c'è che io dia un contributo originale alla scienza tutta e dunque ci si muove in un campo di studi sostanzialmente nuovo ed inesplorato, da lì il fosso di merda.
Questo accadrà se potrò superare la maestosa idiozia di chi ha progettato le segreterie online della mia università, ma credo che rientri nei 3 crediti di abilità telematiche.

Passata questa preoccupazione posso anche concentrarmi su un candidato serio, una persona semplice con idee molto chiare, una persona che non ha bisogno di profumi di sinistra: gli bastano le idee e la competenza per renderle realtà. Una persona da votare sabato 15, alle primarie, che costano solo 1 euro e non serve registrarsi.

Ste primarie sono strane: da un lato sono forse il primo confronto tra 3 candidati di buon livello e dunque il primo vero confronto, dall'altro sono primarie che quando si è presentato il primo candidato stavano per non farsi più. Perché è bene ricordarsi che quando uscì il nome di Ambrosoli i partiti si trovarono in sostanziale accordo su tutto al punto da dire che le primarie a questo giro non servivano più. Ambrosoli è stato anche l'ultimo dei tre candidati a mettere un programma sul proprio sito, l'ultimo di cui ho scoperto le idee e le intenzioni. Uno che è dato vincente con percentuali bulgare prima ancora di sapere chi saranno i suoi avversari e prima ancora che abbia espresso le sue intenzioni sul governo della regione è qualcosa di molto pericoloso. Il fatto che poi alla fine sia un candidato valido quanto tutti gli altri (quasi) è una fortunata coincidenza, ma l'evidenza è la stessa: siamo un elettorato di merda. Non abbiam bisogno di veline e vari orpelli, ma l'ignoranza nell'intenzione di voto è la stessa.

Senza contare che questo atteggiamento ha reso ai miei occhi, che, si sa, vedono sempre la verità, tutti quelli che voteranno Ambrosoli degli automi ignoranti che metteranno un segno sul nome illustre. Ma non vi dirò chi votare, so che ci sono ottime ragioni per votarlo, ma mi spaventa che non lo sappiate voi.

Capitolo finale è Trenord. Da quanto è emerso han preso il software più figo del mondo per la gestione dei turni, robe che ti fan risparmiare il 20% degli sprechi, epperò ci han messo male i numerini dentro e quindi, in gergo tecnico, han distribuito i dipendenti a cazzo per due settimane. Ritardi indefiniti, treni soppressi e bestemmie poliglotte, nemmeno questo ha fatto dimettere chi guida quel baraccone. E no, non lo vogliono risolvere, chessò, spegnendo tutto e utilizzando il metodo precedente che fino a settimana scorsa andava bene. No, pare non si possa. E no, nemmeno questo fa dimettere chi guida quel baraccone. E no, nei soldi spesi per comprare il software non era incluso un manuale per l'utente. E si, gli abbonamenti li han venduti lo stesso. Insomma, per intendori, tanto che...

Oh, come notizia che frega poco o nulla, giusto perché nelle intenzioni c'è che non mi leggano solo i miei amici di feisbuc, questo blog sbarca su tuitter con un esilarante nuovo utente. 2 follower, uno lo conosco, uno no. È praticamente fatta.

Di Stefano.

mercoledì 5 dicembre 2012

Le cuffie sono uno strumento di oppressione del popolo


Quando mi sposto da un punto A ad un punto B, tipicamente, ascolto la musica. La ascolto per le stesse ragioni di tutti: mi piace, solo così riesco a impararla, solo così riesco a non pensare a sti due fisici teorici francesi che mi prendono in giro nei loro articoli, non voglio sentire i discorsi della gente, la gente fa schifo. Pertanto mi trovo costretto a confrontarmi con uno dei maggiori drammi della vita dell'uomo moderno: le cuffie, gli auricolari.

Col passare del tempo si sono evolute parecchio, oramai è come se avessi il batterista seduto tra l'incudine e il martello che rulla sulla staffa, e proprio qui sta il problema: sono ormai di gran lunga l'unico modo sensato di ascoltare la musica che voglio io, al volume che voglio io, ben nascosto dal mondo cattivo che ascolta musica di merda. Insomma, un oggetto inutile si è reso indispensabile e come tutti gli oggetti inutili che si rendono indispensabili fa cagare.

No, cari miei, non son caduto nell'affollata fossa comune della contraddizione, è che non sono ancora arrivato al punto.

Io le mie cuffie le tratto sempre benissimo, non si annodano mai, ma mai, quando non le uso le stacco dal lettore mp3, le ripiego ordinate senza tendere il filo, senza creare curvature strette, senza avvitamenti. Ho un dannatissimo talento naturale nello stare ben attento che nessuna parte, ivi comprese le fragili parti iniziali e finali del filo, si pieghi o comunque si sposti dalla naturale posizione rettilinea. Il mio talento, nonché uno dei motivi che mi rende persona migliore di te, caro lettore, sta nel fare tutto questo senza il minimo sforzo, saprei farlo anche con i piedi mentre penzolo dalla cima del Monte Bianco durante una bufera.

Ci sono voluti anni per sviluppare questa maniacale cura di un oggetto di poco conto, in particolare ce ne sono voluti 11. Me lo ricordo perché il momento in cui i poteri forti hanno deciso che le cuffie non potevano non rompersi mai è stato, probabilmente, a cavallo tra il 2000 ed il 2001. I poteri forti hanno percepito che il mondo della musica egoista stava per prendere il sopravvento alla più socialista musica diffusa attraverso quei comodi stereo appoggiati alla spalla o ad uno scaffale e han deciso che no, gli auricolari non potevano non rompersi. Ed è così che hanno inziato a rompersi, sistematicamente, non succede loro nulla, un momento vanno, il momento dopo ti sembra di essere Van Gogh. Comincia dunque il periodo in cui per avere nuovamente il caldo abbraccio della tua musica, un abbraccio con due braccia intendo, vai in giro con la testa inclinata verso destra di 32.7°, mentre col dito tieni l'attaccatura del filo ad una curvatura compatibile con quella che si può trovare in prossimità di una singolarità dello spazio tempo. 

Ti dirò, oramai è diventato pure comodo ascoltare la musica così, faccio anche stretching.

Si, ma toglimi la mano dal culo.

428 giorni di utilizzo, il mio attuale record di utilizzo di un paio di auricolari. Fortunatamente per la dignità umana il momento in cui il primo auricolare muore segna l'inesorabile morte del gemello entro 8/9 giorni, speriamo che i poteri forti non si accorgano che lasciandolo funzionare potrebbero costringerci tutti a fare qualunque cosa. Cominci ad aggirarti per la città, con le orecchie stuprate dai racconti delle patetiche vite altrui, a sottolineare quanto sia patetica anche la tua, sebbene tu sia meglio degli altri perché sai conservare le cuffie, finché non vai a comprartene delle altre, ti convinci pure che, in fondo, una volta all'anno puoi anche permetterti di comprare una cosa per romperla. Così paghi non meno di 10 euro per avere un suono decente, consapevole che quella vostra unione più profonda di qualunque relazione umana è destinata a morire in due colpi, consapevole che finirà, deprimente felicità. 
Pensi che forse potresti prendere quelle più costose che magari durano di più.
No. Non durano di più, costano di più, ogni tanto suonano sensibilmente meglio delle altre, ma se non siete dei direttori d'orchestra il più delle volte non ve ne accorgerete.
Esci dal negozio, vergognandoti come una puttana minorenne, ti godi quelle prime note intorno a te.
Ti senti meglio a sentire meglio.
Ti riprometti che questa volta le farai durare di più.

Ti hanno reso schiavo e sei pure in affitto nella tua baracca.