venerdì 30 agosto 2013

Cronaca di un viaggio qualunque

In una spinta di fine agosto, solitario in questi 12 metri quadri così ben assortiti, stanco, in attesa che il bagno si liberi, facciamo finta di usare questo blog come uso la carta.

Un altro quadernetto, l'ennesimo, che finirà incompleto. 
Una sfida nuova, forse la più grande. 
Il passato fuori dal finestrino, il futuro attraverso una cabina.

Tempo di percorrenza: 32 minuti. L'autostrada sfreccia calma ai miei lati.

Tempo di percorrenza: 18 minuti. Le montagne iniziano ad intravedersi, finalmente spezzando questa piattezza esasperante, ma si prosegue dritto, sempre dritto.

Tempo di percorrenza: 4 minuti. Minuti inevitabili. Freccia. Qualche svincolo, parcheggio e poi via coi miei 30 kg di orpello.

In aeroporto gli aerei li vedi solo fermi al sole, fumo l'ultima sigaretta con due spagnole, loro tornano a casa, non so dove. Io la casa la sto lasciando, fumo due nervose volte. In sala d'attesa c'è la famiglia olandese dai figli numerosi e piccoli, biondissimi, che torna dal caldo mare. Un'altra famiglia viaggia in canottiera e scarponi da montagna. Poi c'è tutta la fauna degli scappati di casa, quelli che partono per qualche mese, quelli che non torneranno, è il nostro aereo. Occhi incerti, felici, ma incerti. Molto vestiti per stare nei limiti di peso fascisti.

Altoparlante che non ascolto.
Calma, tranquilla, contenuta eccitazione.

Si prega di spegnere gli apparecchi elettronici.

La Lombardia dall'alto ha tutto un suo fascino, una ragnatela dagli spessi fili di case che nascondono le strade. Poi il tappeto di nuvole, come lava bianca solidificata che tutto ha ricoperto, a tratti spaccata rivelare i resti di una civiltà già lontana, una moderna gigantesca Pompei. Non voglio dormire, mai. Le Alpi, da vecchie amiche quali sono, irrompono da sotto il tappeto prepotenti e fiere, un maestoso saluto.

L'occhio si fa pesante, il posto stretto mi culla, la tasca della giacca è appesantita dalla mancanza del biglietto di ritorno.

L'aria olandese è fresca, forse solo pulita, ho 40 minuti di pullman davanti a me, dalla periferia alla città. Prati verdi spezzati solo da ampi laghi, animali, un susseguirsi di case col giardino davanti, magari anche la staccionata, col mattone a vista e la porta verde. Oppure bianchissime come chiese protestanti. Tutte affiancate, talvolta pure uguali tra loro, strette, con un tetto altissimo tanto spiovente da sembrare una distesa di cappelli a punta. Più che spiovente, stemporalmente (dovevo dirla, non potevo evitarla). Superiamo biciclette, auto lente, mucche ed infine un canale. Cambia leggermente lo scenario, i tetti si appiattiscono, le strade si fanno più ampie, non per le auto, per i pedoni e le bici. Siamo in periferia, quella con gli uffici, le fabbriche, la routine. Parcheggi di biciclette nascondono i prati sullo sfondo, ponti mobili ci separano dalla città, mai caotica. Sono tutti in giro, godendosi il tiepido sole delle 5, han finito tutti di lavorare un'ora fa. Un cieco attraversa la strada, il pullman si ferma in tempo e lo affianca. L'autista sta chiedendo al cieco se stesse andando alla fermata, mancavano una cinquantina di metri, ma l'ha fatto, tanto non genera traffico. 

Ora son qui, indeciso su quanto aspettare prima di usare quel cubicolo senza finestre che chiamano bagno, giusto per non avere due spettatori delle mie funzioni corporali più profonde, dopo il kebab nella parte male della città. Oddio, è pur sempre il quartiere dei fiori e sono in via dei giacinti, ma c'era del losco, del tenebroso e soprattutto del buon piccante. La torbida confessione è che magari scrivo le cose sul quadernetto, con la sigaretta che affumica la scrivania, un bicchiere di lato, eccetera, ma il più delle volte la pubblicazione, l'ultimo passo tra me e voi, avviene sulla tazza del cesso. Qui non posso, non ci sta il portatile al cesso. Un incubo.

Fortunatamente il sole è sceso dietro le case alle 22 sta volta, sono stanco e mi sento molto lontano da casa, in una stanza che non è mia con persone dal nome incomprensibile che ascoltano la mia cacca. Domani girerò, si, mi perderò spontaneamente, per non fermarmi, perché a fermarsi ci si ricorda quanto si è lasciato controvoglia. I giornali online ti ricordano quanto sei felice di aver lasciato tutto, ma il resto rimarrà controvoglia, sospeso in un limbo in attesa di una nuova definizione. 

Coffeeshop.

Nessun commento:

Posta un commento