lunedì 18 novembre 2013

La febbre e la mattina

Irrompe con funzione continua nell'oscurità, ha il sapore del tabacco fresco bruciato, ha la violenza di miliardi di fotoni. Cancella la notte, il tramonto precedente e tutto ciò che c'era in mezzo. La mattina ha il volto della mietitrice del fascino. Formichine operose intorno a me camminano spedite, io guardo il cielo come il solito tossico e brucio il mio tabacco con sfrigolii di piacere. Nuvola. La notte è passata, sei sopravvissuto, quasi indenne con i pensieri criminali di una notte insonne, e ne sei uscito più forte.

Non prende sonno e quando dorme trema.

Una mezzora di follia, cancellata nel turbinio di parole, nella febbre, nei tremori, nelle urla soffocate da un cuscino, da una porta presa a pugni, dai malti.

Ma è mattina, sei in piedi e il mondo scorre operoso intorno alla tua nuvola, colazione dei campioni, gli occhi si fanno meno stanchi ad ogni sospiro, l'aria fresca di Parigi in una mattina di metà novembre. Fin da piccolo i malanni li sconfiggi con la notte, un'abilità che non hai perso, perché la notte è la dama delle frasi facilmente costruibili. Sempre.

Rimani splendido.

Rimaniamo.

mercoledì 13 novembre 2013

La coperta calda

Son notti di lavoro, son notti che non faccio finire fino a che non accade qualcosa, per lo più la chiusura del bar. Mi rifugio nella pagina bianca, antica nemica, antica compagna di tante serate. Faccio correre le dita e vedo cosa ne esce fuori, metto disordinato ordine ai pensieri della giornata. O anche solo a quelli di un momento. Mi diletto per i pochi lettori, per i perversi navigatori delle barre di ricerca, mi diletto nella speranza che qualcosa rimanga. Un punto rosso nel vento della rete.

Ho pensato che questo post sarà il primo che non condividerò su facebook, il primo in cui proverò a non mettere dentro nessuno, il primo in cui non proverò a mettere dentro tutti. Un post mio, un eviscerarsi per cambiare marcia. In fondo è sempre quello il punto, un guardare se stessi da una prospettiva distaccata, un coccolarsi in una oscura consapevolezza di voler gridare qualcosa in un prolisso sussurro di nulla.

Nel mio smodato parlare della coperta calda di chi non scrive mai ho sempre tralasciato quanto avvolgente sia il momento in cui sporco il mio schermo degli schizzi dei miei pensieri, quanto sia confortante saper di poter riempire un vuoto col proprio vuoto. La pagina da sporcare è ciò che desidero afferrare, ciò che ti stende quando si palesa nel reale.

Notte dopo notte si fan finire le dita su una tastiera col solo effetto di occupare gli occhi disattenti di ipotetici lettori. Notte dopo notte si cambia il mondo, che sia descrivendo il proprio o dando prospettive nuove a quello altrui. Notte dopo notte si cerca l'espressione migliore, arrogandosi il ruolo di ricercatore senza alcun merito. Notte dopo notte si controlla quanto sia rimasto e, quando si è fortunati, si finisce in un angolino del cervello di chi si voleva raggiungere. Che poi è sempre solo l'unica cosa che conta.

Non metterti dentro, lettore, è impossibile. Se la forza propulsiva è il distacco da quello che odio, nel profondo, è la vicinanza con te, che sia per 4 righe mal costruite o per tutta una notte, quello che voglio. Perché il lettore è il mio distacco, quell'unico vero lettore.

Scale mobili.

Non ci sono riuscito. Merda.

lunedì 11 novembre 2013

Notturno - Paris

Il post che scrivi 14 volte in 3 giorni e 14 volte parli di cose diverse. Potrebbe bastare sta cazzata per descrivere Parigi, dove il vostro affezionatissimo è relegato per quello che quasi nessuno definirebbe un lavoro vero. Una Leffe (senza sputo) ad accompagnare questo compimento della prima settimana, vecchi, disabili e minorenni all around me. Il nuovo arrivato che non si integra col gruppo che lavora due tavoli più in là facendomi sentire in colpa per non fare lo stesso. Emozioni talvolta contrastanti ma comunque sempre intense da 7 giorni.

Parigi è una città che si sa presentare, non è Brussels, Parigi è un riff di Eric Clapton, un quadro che fa da cornice al tutto, semplice, raffinata, marcia sotto. La percorro sottoterra, il mio tempo scandito dalle sirene della metro. Senzatetto ed odore di piscio separati da una manciata di scalini da scintillanti piazze infiocchetate, musei troppo intensi per farsi percepire. La percorro di notte, con le sue luci gialle a ricordarmi quanto mi piaccia Milano, la percorro con la pioggia, passo spedito, sguardo all'insù, vento che ti ricorda casa.

Mi avvolgo nel mio felpone, nel mio cappuccio, nella mia nuvola di fumo e cammino spedito pensando alla serata, ai sorrisi, alle dita che corrono sulla tastiera immaginaria di qualcosa di reale. Parigi rende difficile mettersi poi alla tastiera vera a cercar di rinchiudere in un 16:9 quello che accade. Accade in una notte, forse 3, ora cammino sulla Senna, passando dal Musée d'Orsay al Louvre, nulla che possa capire sul serio, sia chiaro, ci ho bisogno di tempo per notare le cose, per farmele trasmettere. Io son quello che al cinema si gira per vedere le espressioni delle altre persone, in un museo non posso che inebriarmi dell'entusiasmo altrui, financo invidiarlo. Certo, il migliore era quello che, beato, con una mano sulla faccia, dormiva sereno a due passi da decine di Monet, Manet e Cézanne. Tuttavia quello che mi ricordo è il saltellio entusiastico di chi vive, assapora e respira ciò che ha studiato, ciò che ha visto in foto, ciò che forse ha rappresentato dei passaggi formativi. Vibrante entusiasmo, travolto da un insieme di quadri che meriterebbero una stanza privata giusto per pensar un po' a cosa si sta vedendo e alla propria vita.

Parigi è fermarsi a mangiare fuori da un bar, godersi la jaaz band che suona lì, a due passi. Parigi è questa casualità. È scalare Montmatre evitando i turisti, farsi stendere tipo Stendhal a Firenze e poi giù, a capofitto, infilandosi nelle stradine, sotto le tende, tra vestiti usati ed antiquariato. In un ristorante che scintilla musica francese, bevi del vino, risate, italfrancegnolo ben annegato nel rosso. Ti scalda l'anima. Poi torni su, quasi non ti capaciti di quanto sia tutto vero quello che provi guardando in basso. Sorriso.

Il bar si svuota, gli altri clienti si fanno inghiottire nella notte. Io penso che a Parigi mi manchi proprio una bici. Dovrei piantarla con sti notturni, una volta mi piaceva parlar della vita di voialtri, che però ora osservo nel suo riprodursi sempre identica, col distacco di chi ha già ripetuto la cosa fino a risultare il solito vecchio trombone. Ora sto a guardarmi l'ombelico, accoccolato nel mio felpone e cappuccio, pensando a capucci che si uniscono, sirene della metro, corse nella notte e realtà.

Parigi la rivedo nei miei peli delle braccia, Parigi è piena di topi.

Palazzo del Congresso.