domenica 29 dicembre 2013

Notturno - Milano

Una notte ricevetti un link, dentro c'erano pensieri, telai e catene di biciclette come sonagli. Non ho così buona memoria di quanto contenesse, ricordo sensazioni, ricordo che era sempre estate.

Milano è il giallo del sodio che si riflette nelle pozzanghere, sempre quello che ritrovi ovunque ma che in fondo sai essere autentico solo lì. È una pizza alta, di quelle che ti portavi a casa nel cartone fumante, tra lo sferragliare del tram e il rumore continuo delle auto sul pavé, una grande piazza disseminata di case. Rimane quel grande paesotto dove in fondo si conoscono tutti, dove scendi al bar per berti una birra, un the, scambiare le due chiacchere stanche di chi si gode la città deserta, assuefatta dal cibo natalizio e dalle case in montagna.

Ti appare all'improvviso, tetro, imponente, San Vittore. Per la prima volta lo vedo libero dall'arte di strada, triste più che mai, silenzioso nel suo contenere più respiri di quanti si potrebbe permettere, più storie di quante vorrebbe contenere. Da qualche parte qui intorno ci dovrebbe essere l'edicola, o almeno lo spiazzo che la conteneva, da dove tornavi con le dita sporche di piombo, infreddolito dalla vita in su perché la stufetta elettrica era un toccasana solo parziale. Quella via mi sta urlando contro la vita lontana, di quando contavo le parole, di quando il mondo ti passava davanti per un pomeriggio, una giornata intera, al ritmo sincopato di quotidiani distribuiti col sorriso e delle prime nuvole del denso fumo di Marlboro rosse.

Le biciclette ispirate da quella piazza, da quella via. Ci sono dentro, veramente. Ho le scarpe bagnate, perché qua piove poco, ma è come piovesse tre volte in una. Ho un treno da prendere e corro via, sapendo che in fondo Milano, che casa mia non lo è più da un po', sempre così mi aspetterà, al di là delle piazze scintillanti ed artefatte che son spuntate come infestanti funghi dove esistevano parchi e siringhe.

L'Essere e Benessere è la nuova versione ben vestita delle botteghe dei cinesi.

In realtà la memoria è ancora agile. O così credevamo.

domenica 15 dicembre 2013

Notturno - Genova

La luce entra di sbieco sul tavolo, intorno a me c'è il sonno pesante, davanti la strada sopraelevata e le sue luci al sodio che fanno così tanto casa. Il porto addormentato è appena percepibile, un'ombra nella notte, una notte che non voglio perdere dormendo. Sto viaggiando da più di 60 ore ormai, se mi fermo temo di non svegliarmi e non voglio dormire, voglio vivere ogni istante.

Certo che quella strada, quando non ci sei sopra, è proprio una merda.

Genova si rivela ancora incredibile, arrampicata ed oscura, vie strette tra case altissime che sembrano appoggiarsi l'una sull'altra. Vie verniciate di poesie urbane, su ogni muro troverai un pensiero, spesso mal costruito ma comunque potente e, nell'insieme, armonioso. Genova è sporca, è la bellezza dell'immondizia, è il posto migliore dove perdersi. Ti arrampichi, prima o poi da qualche parte arrivi, da qualche parte troverai un'improvvisa apertura a quel claustrofobico labirinto di genuina oscurità.

Tanto basta ricordarsi che il mare è da quella parte.

La luce innaturale entra sempre con la stessa angolazione, non importa quanto io possa aspettare, rimbalzerà su questo foglio stropicciato e oramai mal scarabocchiato per diffondersi tenue nel resto della stanza, una stanza che è più casa di quanto mi aspettassi.

Sto vivendo da qualche mese in stanze come questa, talune possono sembrare prigioni, altre lo possono diventare, ma in ogni caso è ormai questo il mio nuovo concetto di casa, un concetto senza luogo, in balia di un vento freddo che mi spinge e prova a fermarmi allo stesso tempo. Questa volta non è riuscito a fermarmi, per quanto furibondo fosse, questa volta sono arrivato in tempo.

La città la si gira con lo sguardo per aria, ispirandosi con la luce per scegliere le vie dove infilarsi, consapevoli e speranzosi che solo così si possa apprezzare il battito di una città sempre meno oscura, sempre più propria, per una sola notte.

Ho financo ritrovato l'angolo di paradiso, tra i tanti angoli che ho ritrovato in questo viaggio che è solo a metà strada, che mi aveva accolto quel giorno con gli amici di Libera. L'ho ritrovato deserto, l'ho ritrovato pieno di gente che celebrava il sabato sera, ma rimarrà sempre pieno delle risate dei bambini di quel giorno, del mio bisogno di dormire, della mia voglia di non farlo.

Ho preso tanti treni per arrivar fin qui, alcuni in pieno volto, alcuni addormentati intorno a me, quieti, beati, come l'ombra del porto là, dietro le luci, con le sue sagome che si fan più deformate col passar del tempo.

Osservo il soffitto, la luce artificiale si fa sconfiggere dalla tenue dirompenza che proviene da levante, con l'azzurro che si mischia all'emissione del sodio fino a cancellarla, fino alla sua resa. Allungo una mano, ora posso chiudere gli occhi per un po'. Ricomincia il cammino, tortuoso, intervallato da pasti poco sani, birre, stazioni ed aeroporti. Non posso dormire sul serio quando sorrido così.

Col mal di vivere mi ci sciacquo il culo.